top of page

Ricordando la DDR

Il 28 ottobre del 1989 a Berlino splende un insolito sole, eppure nessuno nella DDR ha voglia di gite in campagna in idilliche dacie  - così gli ossis chiamano ironicamente le modestissime casette prefabbricate nei boschi del Brandemburgo dove amano trascorrere i fine settimana.

Giá alle sette di mattina si è formata una lunga fila di persone davanti al botteghino del Deutsches Theater. Il teatro più importante di Berlino Est propone uno spettacolo particolare: la presentazione di un libro uscito nella Germania ovest: “Difficoltá con la verità”,  ma scritto da un cittadino della Germania est, un tempo eminente, e in seguito – come tanti altri,  marchiato come appestato dallo Stato comunista: Walter Janka, un passato da volontario nella guerra civile spagnola, comunista convinto, direttore della casa editrice più prestigiosa e importante della DDR la Aufbauverlag era stato arrestato nel 1956 e condannato a cinque anni di carcere

duro nel 1957 con l’accusa di congiura controrivoluzionaria. La sua colpa: aver fatto parte di un ristretto gruppo di intellettuali che osavano vagheggiare l’ipotesi di un socialismo libero da steccati staliniani.

La scrittrice Christa Wolf impegnata in un’altra manifestazione non viene a teatro, ma manda un suo scritto durissimo e doloroso che apre la serata: “In questo teatro oggi ha luogo una prima di assoluta importanza. Per la prima volta riusciamo a focalizzare senza giri di parole il male assoluto dal quale sono scaturiti tutti i mali del nostro Stato: lo stalinismo.” Un’attrice scandisce le parole della scrittrice e agli spettatori in sala sembra per un attimo di vederla  - la Wolf  - con quel suo viso da statua, incorniciato dai capelli neri a caschetto e i suoi occhi da gatto verdi e stretti che raramente tradivano emozioni. “Mi stupisce sapere che il libro sarà pubblicato ora anche nella DDR” continua la Wolf –“e mi sgomenta ascoltare oggi la voce di chi si professa vittima di un sistema che ha contribuito a creare e senza remore si mette dalla parte degli oppositori!” Ed il riferimento ad Egon Krenz e ai tanti piccoli leader della SED che cercavano di riciclarsi come rinnovatori dell’ultima ora è evidente . Poi con piglio protestante afferma senza timori: “Dobbiamo ora sondare le nostre stesse difficoltà con  la verità e troveremo che anche noi abbiamo motivo di pentirci e vergognarci!”

Tocca al giovanissimo e strabiliante attore Ulrich Mühe  - a tutti noi noto per la sua magistrale interpretazione del film “Le vite degli altri” che merita l’Oscar nel 2007 -   leggere i brani più toccanti del libro di Janka. E attraverso le parole di Mühe prende forma il dramma di chi nella DDR ci aveva creduto veramente: Walter Janka uno dei fondatori culturali del nuovo Stato, un uomo che durante gli anni del nazismo era dovuto scappare in Messico ed era riuscito con mezzi di fortuna a pubblicare per primo in lingua spagnola  scrittori tedeschi come Anna Seghers, che saranno poi gli scrittori per antonomasia della DDR - era stato rinchiuso, ironia della sorte, dal regime comunista, nello stesso carcere duro di Bautzen, dove anni prima lo avevano già segregato i nazisti per le sue convinzioni comuniste.

Alla fine della lettura di Mühe si presenta sul palco lo stesso Walter Janka. Pallido e compunto: i capelli lunghi e imbrillantinati pettinati all’indietro che contrastano con il doppiopetto  grigio e la cravatta. “Permettetemi per una volta di non citare Marx o Lenin” dice serissimo:”A volte tacere equivale a mentire, a volte tacere significa aderire!”

E dal teatro si leva un boato di grida e battimani, compassione e riconoscimento.

E fin qui il quadretto di quella giornata storica e memorabile di attori e scrittori che si fanno portavoce del popolo sembra funzionare. E in un certo senso funziona. Delusi, ma entusiasti intellettuali e scrittori per la prima volta sentono di non essere i gregari di un sistema. Sperano in un popolo capace di liberarsi dalle tirannie. Sono convinti che è arrivato il momento che hanno aspettato da tempo: riflettere tutti insieme, criticare liberamente; fare anche pubblica ammenda, ma costruire finalmente un nuovo Stato.

Perché non tutti scappano all’ovest attraverso Praga; e ora in migliaia affollano la sala del teatro tanto da occupare anche i posti fuori. E ancora altre migliaia di persone accorrono proprio quello stesso giorno ad un'altra grande manifestazione parallela voluta e organizzata da Christa Wolf e da altri 69 intellettuali di spicco della DDR come Stephan Heym, Christoph Hein, Volker Braun, Heiner Müller, Günther de Bruyn per citare i più noti.

“Contro il sonno della ragione” è il titolo della serata che ha luogo poco lontano dal teatro, nella Chiesa del Redentore. La gente dentro è stipata e fuori sono state organizzato delle sedie e uno schermo per permettere a tutti di seguire il dibattito. In programma un film brutale proiettato sopra l’altare della Chiesa mostra interviste ai ragazzi arrestati dalla Stasi durante le manifestazioni del 7 e dell’8 ottobre. Per la prima volta diventano di dominio pubblico le pratiche raccapriccianti della polizia. I ragazzi, tra cui una bambina di 12 anni,  raccontano ad esempio di venire schedati anche in base al loro odore: la polizia strofina loro dei fazzoletti sulle parti intime che poi conserva in barattoli sottovuoto. I fazzoletti  erano dunque pronti  per essere dati ai cani nel momento del bisogno, quando cioè si cercavano persone sospette. Metodi quasi nazisti contro i quali gli intellettuali propongono di far istituire una commissione di inchiesta, di intervenire.

“Questo nostro Paese abbandonerà finalmente la sua roboante marcia al passo, per danzare con scarpe leggere?” Chiede poeticamente la scrittrice Helga Königsdörfer alla gente assiepata.

E così il 28 ottobre è una Sternstunde per dirla in tedesco -  un momento magico e irripetibile, un giorno di illusione in cui si ritiene vivo e forte il rapporto fra la massa critica; fra chi è rimasto e manifesta e gli intellettuali che non hanno mai abiurato la  DDR e non vogliono neanche farlo, ma continuano a sognare uno stato socialista libero, senza divieti e senza muri dove la gente sarebbe stata felice di rimanere.

L’ultima immagine di quella giornata appare oggi desueta e antica mille anni: vede dunque Walter Janka in piedi da solo sul palcoscenico del Deutsches Theater, pallido e compunto  non ha ancora concluso il suo discorso 

“Permettetemi ora però di citare finalmente una vecchia massima di  Carlo Marx”: dice serissimo “Lottiamo ancora per una associazione di uomini dove la libertà di una persona è la condizione essenziale per la libertà di tutti. Mandiamo in pensione tutti coloro che ci hanno lasciato in eredità un mucchio di cocci ideologici!!”

Poi il vecchio combattente della guerra di Spagna alza gli occhi sulla platea e sinceramente convinto che la storia della sua riabilitazione sia emblematica per il futuro della  DDR, per una svolta verso un socialismo libertario, chiude il suo discorso con un urlo: “Venceremos!” E già la folla non lo segue più.

Alla testa del corteo, il 4 novembre  si sono schierati gli attori dei teatri di Berlino in un ruolo specialissimo: sono loro gli organizzatori della prima mega manifestazione voluta dal basso e non dallo Stato della DDR; sono scesi dal palcoscenico per entrare nel vivo della vita politica del Paese. Per anni hanno sussurrato parole auliche ai loro spettatori; espresso la loro polemica usando Schiller e Shakespeare. Ora sentono che è arrivato il momento di scendere in piazza. Sanno che la gente crede in loro e vogliono cambiare finalmente l’assetto del Paese. Chiedono elezioni  democratiche, il diritto a viaggiare all’estero, il diritto di parlare apertamente, di discutere liberamente.

Fra le mani tengono un  grande cartellone che cita i due paragrafi della Costituzione: il 27 e il 28 che sanciscono questi diritti. Per l’occasione indossano delle fusciacche gialle e verdi che gli attraversano il petto con la scritta “Niente violenza”. Temono infatti ritorsioni e botte da parte della polizia che poche settimane prima a Berlino, in occasione del 40mo  anniversario della DDR - ha picchiato brutalmente i giovani manifestanti. Si sentono responsabili, chiedono un corteo pacifico che non provochi incidenti di sorta. Quello che non si aspettano è il tripudio di persone che si presenta con largo anticipo all’appuntamento. Centinaia di migliaia, qualcuno parla di un milione Sono venuti da tutto il Paese: dal Meclemburgo, dal Brandemburgo dalle lontane Turingia e Sassonia.

Così che gli attori alla testa del corteo quasi vengono sospinti dalla folla alle loro spalle e la marcia parte per inerzia con 40 buoni minuti di anticipo.

Il servizio d’ordine non serve. La folla è polemica, ma civilissima. Non si sente un rumore mentre in migliaia sfilano lungo le strade. Tutti sono intenti a leggere la miriade di cartelloni disegnati e colorati che sventolano in aria. Ci sono slogan  introspettivi come: “Chi è costretto ad inghiottire, viene ucciso nell’anima”; ce ne sono di nostalgici: “Socialismo chi ne ha distrutto il senso?”; di arrabbiati: “Chi va con lo zoppo impara a zoppicare”, o “Tutto il potere al popolo e non alla SED” oppure: “La vostra politica è scappata” o ancora: “Siamo noi il popolo e siete voi che ve ne dovete andare”;  alcune filosofiche: “Tornare indietro è andare avanti”, fino agli allegri: “ Viva la rivoluzione di ottobre del 1989”,e il mitico: “Visafrei bis Hawaii” che sarebbe “Senza passaporto fino alle Hawaii; ci sono anche i manifesti degli anarchici con la scritta: “Non altri padroni, ma nessun padrone” accanto alle bandiere rosse e nere, ma sono pacifici pure loro. Qualcuno porta in mano delle candele accese. Quel che si vuole evitare è ogni qualsivoglia similitudine con le grandi manifestazioni statali organizzate dalla DDR, come le marce in occasione del primo di maggio o dell’anniversario della morte di Rosa Luxemburg dove partecipare era un obbligo, pena ritorsioni sul lavoro; quelle sì rumorosissime perché per ovviare ai musi lunghi dei manifestanti si usavano megafoni gracchianti che diffondevano a tutto volume la musica di cori russi,  ricreando una fasulla e allegra atmosfera rivoluzionaria.

Solo quando passa sotto il famigerato balcone del Palazzo della Repubblica il corteo si ferma e diventa squillante. Proprio lì solo quattro settimane prima Honecker e i suoi del Politbüro in occasione appunto del 40mo, avevano salutato le folle oceaniche della parata di regime. E sotto il balcone il corteo ora comincia a battere ritmicamente le mani; ma non è un grido inferocito che si leva da quella folla rilassata, piuttosto una spontanea parodia dei vecchi rituali imposti dallo Stato, mentre delle vocine canticchiano maliziose una nenia infantile: “Chi una volta mente, non verrà creduto”

Alcuni escono dal corteo e armati di vasi di colla e rotoloni di carta da parati cominciano a tappezzare con carta colorata il simbolo del regime: il palazzo della Repubblica.

E in quel momento ci si rende conto che il Politbüro ha perso ogni autorità

Dopo un’ora e mezzo  - in un baleno - la testa del corteo ha già percorso i quasi 4 chilometri ed affolla la grande Alexander Platz

E qui cominciano i dolori. Perché fra i 27 oratori in lista non ci sono solo i giovani artisti pieni di buone speranze, come il caro, giovanissimo Ulrich Mühe coorganizzatore dell’evento, ma c’è anche la vecchia guardia che si vuole fare paladina delle nuove istanze. Prende la parola Markus Wolf, l’ex capo dello spionaggio all’estero della DDR, dunque uno dei maggiori esponenti della Stasi che con una padronanza del microfono, una disarmante disinvoltura e una sovranità del momento lascia i manifestanti allibiti. ”Non è stato certo il mio partito ad organizzare l’incontro di oggi, ma la voce flebile degli artisti di Berlino.” Afferma tranquillo e si permette persino un po’ di ironia: “La nostra leadership fino al 7 ottobre ha vissuto in un mondo fittizio ed è fallita di nuovo quando le persone hanno cominciato a votare con i piedi” Intendendo le fughe all’ovest, poi continua imperterrito: “Centinaia di migliaia di comunisti che hanno lavorato onestamente si attendono ora una linea chiara” E prende naturalmente lucciole per lanterne perché la folla sotto al podio non intende affatto impartire lezioni ai comunisti, ma defenestrarli. Punto. E così dopo qualche secondo di educato silenzio, una pioggia di fischi si abbatte sul temerario Wolf e poco importa se l’ex uomo della Stasi ha lasciato da due anni il suo lavoro e scritto un libro pro Gorbasciov. Una studentessa commenta “Queste persone della SED ora si prendono la Perestrojka come fosse un’offerta speciale del supermercato!”

I fischi sono civili, ma forti e quando sul podio sale l’ultima speranza del partito, l’innovatore Günther Schabowski, membro del Politbüro della SED  si capisce che è finita. “Noi non ci perdiamo d’animo” afferma il tapino in uno slancio di coraggio, mentre sonori fischi lo mettono a tacere. Quando invece sul podio sale Stefan Heym parte un’ovazione. La fiducia negli artisti è illimitata. E in effetti l’anziano scrittore è una boccata di aria fresca:

“E’ come se qualcuno avesse spalancato le finestre.” Dice con un largo sorriso “Dopo  anni di puzza di chiuso, di stagnazione spirituale economica e politica, di retorica e dispotismo burocratico; di cecità e sordità.”

E gli applausi salutano anche Christoph Hein  e Christa Wolf che parlano di vera democrazia.

Quando sale sul palco il drammaturgo Heiner Müller invece cala il silenzio. In pochi riconoscono il suo viso “Di fronte a 500.000 manifestanti mi sembrò all'improvviso stupido assestare un calcio al leone ammalato che sicuramente mi avrebbe portato applausi” racconterà mesi dopo: “ Bevvi della Wodka e aspettai sgomento.” Lui che in quei giorni in veste di autore e regista sta provando la messa in scena dell’Amleto e insieme agli attori che hanno organizzato la manifestazione commenta e introduce nel testo tutti gli avvenimenti dell’ultima ora, come Amleto si sente scisso fra un’epoca che finisce  - despota e paterna  .- e una nuova che comincia e che non gli piace neanche

Il fatto è che non se la sente di apostrofare la folla con il tipico “Mein Volk”. Dichiararsi un popolo  - diceva Brecht - significa discriminarne altri e prediligeva il termine popolazione: “Ma potevo arringare la folla con un “Noi siamo una popolazione?”  Non suonava molto bene” ricorderà Müller

Come Cassandra il triste drammaturgo tedesco che tanto aveva lottato contro le violenze di regime, vede ora un futuro nero per il suo Paese.  Legge la dichiarazione di un gruppo di giovani ragazzi. Si levano applausi e fischi

Osannati dalla gente in piazza  attori, scrittori e drammaturghi escono dal loro ruolo e vivono il loro ultimo exploit quel  4 novembre. Il loro ruolo di portavoce della gente finisce con la fine della DDR.

Ma il bello deve ancora venire quando i manifestanti stanchi della giornata dopo ore in piedi fermi ad ascoltare discorsi tornano a casa e si sbracano finalmente in poltrona a guardare il Tg. La Aktuelle Kamera quella sera li lascia stupefatti: gli stessi giornalisti fanno autocritica, dichiarano di non aver avuto il coraggio in tutti quegli anni di opporsi alla censura; di essersi fatti portavoce della classe dominante, chiedono scusa al pubblico annunciano una nuova era del Tg.

 

bottom of page